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Lo scarpazzone e le sue contaminazioni

Capita spesso che quando si ha qualcosa in frigo da smaltire, venga convertito in una torta salata, in modo da proporlo in tavola camuffato sotto veste più appetibile.
Non è il caso delle ricette originali e insolite che trovate su Torte salate, il libro edito da Gribaudo di cui vi ho già parlato e di cui vado fiera di aver contribuito.
E spesso anche quando si parla di torte della tradizione, non ci si riferisce a torte svuotafrigo (ché magari i frigo nemmeno esistevano, quando furono ideate) ma di torte il cui ripieno è necessariamente stato realizzato perché quello era ciò che passava il convento.
Un esempio è lo scarpazzone.
Quando l’ho sentito nominare la prima volta mi ha fatto subito simpatia, poi ho conosciuto la sua storia ed il pensiero è andato alle donne, alla loro (mancata) emancipazione lavorativa e alla capacità di  valorizzare al massimo ciò che si ha, per mancanza di alternative.
Lo scarpazzone è una versione montanare dell’erbazzone, una torta salata ricca di bietole ed altre verdure di campo. Il suo nome deriva proprio dalla gran quantità di bietole presenti e dal fatto che venissero usate per fare volume anche le coste bianche più dure (le scarpe)!
La versione dello scarpazzone che vi presento è quello di Carpineti, paesino sulle montagne dell’Appennino emiliano, dove da qualche anno a metà luglio c’è proprio una festa per celebrare questa prelibatezza.

Quando ho scoperto la ricetta, la cosa che mi ha incuriosita di più è stata la presenza del riso. Che ci fa il riso, prodotto della pianura, in una torta montanara?
E qui entrano in gioco le donne, che dagli inizi del Novecento fino agli anni Sessanta si spostavano in pianura per lavoro: facevano le mondine, chinate tutto il giorno a togliere le erbacce che infestavano le risaie e venivano pagate pure con un chilo di riso, per ogni giorno di lavoro. Un po’ poco, direi…
E così di necessità virtù: il riso, cotto nel latte delle mucche dei pascoli, è andato a sposarsi con la bietola e le sue scarpe, il parmigiano locale ed è nato lo scarpazzone, anzi lo scarpasün.
Un tempo, queste torte venivano cotte nel forno a legna ed in forme di rame enormi: i söl, che avevano un diametro di 60 cm e sfamavano per giorni una famiglia. Queste enormi tortiere, con il manico lungo e tre piedi, non sono più in commercio, ma a volte si trovano ai mercatini dell’antiquariato, alcuni finemente punzonati con una rosa comacina simbolo dell’Appennino.

Oggi è la giornata nazionale dedicata all’erbazzone nel calendario del cibo italiano (l’iniziativa promossa da AIFB che vede ogni giorno molte blogger presentare un piatto tipico della nostra tradizione italica).
Potete leggere tutto quello che avreste voluto sapere su questa particolare torta salata a questa pagina, a opera di Daniela e Juri (di Acqua e Menta) che ringrazio per avermi fatto conoscere lo scarpazzone, parente stretto del piatto che si celebra oggi!

Scarpazzone montanaro

In mancanza di söl, di un forno enorme e di una alternativa di tale dimensione, ho ridotto le dosi di metà per usare la mia tortiera più grande, quella da 30 cm.
Purtroppo, sciocca che sono, ho ridotto di metà anche le dosi, per cui ho ottenuto un guscio piuttosto spesso e mi è avanzato anche un po’ di ripieno.
Riporto quindi qua sotto, le dosi esatte, opportunamente ridotte in proporzione.

Scarpazzone
(per una teglia rotonda da 30 cm)

per il ripieno
750 g di bietole fresche
125 g di ricotta
75 g di lardo
75 g di Parmigiano Reggiano grattato
75 g di formaggio pecorino grattato
125 g di riso
500 ml di latte
2 uova
12 g di prezzemolo
1 spicchio di aglio
noce moscata
sale

Per prima cosa cuoci il riso per 10 minuti nel latte.
Nel frattempo scotta le bietole in acqua bollente, lasciale sgocciolare e tritale su un tagliere con la mezzaluna.
In una padella capiente fai sciogliere il lardo e unisci l’aglio ed il prezzemolo tritati. Quando il lardo si è sciolto, aggiungi le bietole e fai insaporire per un quarto d’ora.
Aggiungi poi la ricotta, i due tipi di formaggio grattugiati, il riso, le uova sbattute (tienine da parte un cucchiaio), aggiusta di sale e di noce moscata.

Scarpazzone montanaro

per la sfoglia (o fuiàda)
125 g di farina
38 g di latte
olio
sale
un po’ di uovo sbattuto

La sfoglia, chiamata in dialetto fuiada, si prepara unendo tutti gli ingredienti e impastando fino ad avere un panetto liscio.
Va poi stesa molto sottile e spostata nella teglia, per rivestirne la base ed il bordo (la mia è venuta alta il doppio di quella che sarebbe dovuto essere, causa errata conversione delle dosi).
Il ripieno dovrebbe essere steso in modo uniforme ed essere di uno spessore di un paio di cm scarsi. Con il cucchiaio di uova sbattute tenuto da parte, spennella la superficie della torta ed il bordo ripiegato.
Inforna nel forno caldo a 180° per mezz’ora.

Scarpazzone montanaro
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12 Comments

  • Reply maia @ sac à poche

    ma che meraviglia!!

    27 Aprile 2016 at 11:47
    • Reply gaia

      Grazie quasi-omonima!
      è stata una scoperta, per me!

      27 Aprile 2016 at 20:40
  • Reply Erica -Marianna

    Bellissimo il tuo erbazzone!!! Complimenti. Lo proverò sicuramente. Marianna

    27 Aprile 2016 at 14:22
    • Reply gaia

      Grazie Marianna,
      se davvero ci provi, poi fammi sapere, mi raccomando!

      27 Aprile 2016 at 20:42
  • Reply Claudette

    Le torte salate godono di grande simpatia in casa Fiordisambuco: chi ama il ripieno, chi è innamorato del bordo croccante, chi gusta tutta la combinazione di sapori e consistenze. Quindi anche lo scarpazzone finirà presto in forno e poi in tavola.Conosco bene invece l'erbazzone grazie alla moglie del vecchio panettiere che veniva proprio dall'Appenino emiliano ed era arrivata fino qui per fare non la mondina, ma la domestica in casa di un ricco avvocato ….

    27 Aprile 2016 at 20:22
    • Reply gaia

      Ciao cara,
      anche da noi ci sono preferenze diverse.
      E pensa, invece, che mia nonna emigrò a Sanremo a fare la babysitter ad una ricca famiglia inglese, tra la prima e la seconda guerra mondiale. Lei però, tornò poi a casa.. per fortuna. Senno' chissà se sarei stata qui a raccontartelo… or not

      😉

      27 Aprile 2016 at 20:46
  • Reply Daniela B.

    Che bel post… quando ho letto la prima volta di quelle donne mi sono molto emozionata, e di nuovo leggendo quanto hai scritto tu nel tuo bellissimo post. Complimenti per questo scarpazzone!!

    28 Aprile 2016 at 9:01
    • Reply gaia

      Grazie a te per avermi inconsapevolmente incuriosito e avermi poi fatto scoprire questo piatto!

      28 Aprile 2016 at 19:39
  • Reply Paola Sabino

    Mi sono innamorata dell'erbazzone e delle sue millemila varianti. Anche questa col riso è da provare 🙂

    28 Aprile 2016 at 19:29
    • Reply gaia

      La contaminazione è spesso un'ottima soluzione.
      Anche qui.

      28 Aprile 2016 at 19:40
  • Reply Mai

    Non sai quanto mi piaccia questo scarpasün!!!
    Il tuo post è divino e questa ricetta è da riprovare sens'altro!
    Io ho fatto l'erbazzone senza glutine perché ero curiosa di provare con una farina gf , ed in effetti la sfoglia non mi è venuta assai sottile. Ma vedendo questa tua versione, senza coprila con sfoglia, mi viene voglia di riprovarla!
    Bravissima e grazie per questa lezione di storia e tradizione!

    30 Aprile 2016 at 22:15
    • Reply gaia

      Grazie a te, mitica Mai!
      La sfoglia della foto non è venuta bassissima, causa i miei errori di conversione, ma con le dosi che ho aggiustato e pubblicato, dovrebbe venire parecchio più sottile!
      un bacione

      1 Maggio 2016 at 20:41

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